Priolo Gargallo, la banda di ragazzi che gioca alla rivoluzione

di Claudio Civilleri

Se il calcio fosse poesia, il Priolo sarebbe un verso di Pasolini scritto sul muro scrostato di una periferia dimenticata. Se fosse un campo di gioco, sarebbe scuro e ruvido come l’asfalto di Cassibile, dove questi giovanotti—senza stadio, senza padrini, senza lustrini—hanno seminato sogni e raccolto battaglie.

Storia di un Mito

Il mister Domenico Porchia, uno che ha fatto del 4-3-3 il suo credo, la sua guida astrologica, un’ ideologia su cui impernare il suo io calcistico, in questa stagione ha deciso, con saggezza, di vestirsi di 3-5-2.  Non per moda, non per svenevole tatticismo, ma perché ha ascoltato. Ha ascoltato la voce squillante del suo giovane gruppo, la disponibilità dei suoi ragazzi, e da lì ha tratto la linfa per cambiare rotta. Un allenatore, insomma, che sa guardare oltre la lavagna e le linee colorate raffigurate sopra.

Giovanissimi, forse i più giovani dell’intera Promozione ma sicuramente i più giovani del Girone D, la banda di Porchia non si è fatta mancare nulla: partenza a razzo fino a dicembre, poi il buio. Settimane da tregenda, tra infermeria piena e sconfitte a grappoli, cinque di fila tra Coppa e Campionato. Una spirale che avrebbe stroncato anche le più solide delle corazze.

Ma i nostri no. Loro si sono rialzati, E come si sono rialzati! A piccoli passi hanno ricominciato a salire la china a prendersi sempre più spazio in classifica fino a far saltare il banco ai play-off: prima Pro Ragusa, poi l’Atletico Megara ad Augusta, dove serviva una sola cosa e l’hanno presa—la vittoria, cruda, sudata, necessaria. In trasferta, con l’anima in tasca.

Il calcio di strada

E intanto, attorno, le corazzate: Kamarat, San Fratello Acquedolcese, Montelepre. Squadroni costruiti per dominare. Ma il Priolo no, il Priolo è calcio di strada, calcio da marciapiede, calcio dei ragazzi “senza”, che si arrangiano col poco e fanno sembrare tanto il niente. Il Priolo è il calcio del popolo, del popolo vero, è il calcio delle opportunità date a chi in mano ha solo sogni e sulle spalle una vita di fatica.

Il campo? Non c’è. O meglio, c’è ma non è omologato. Allora Cassibile diventa casa, anche se non è casa. E il Comune? Latita. Ma il gruppo è coeso, il mister tiene il timone saldo anche con venti contrari e qualche maretta di temperamento post-adolescenziale.

Questo Priolo non è solo una squadra: è un’idea. Un’idea di calcio che sa di umanità, di etica, di quella morale che si impara inciampando, rialzandosi, e correndo ancora. Tutti sulla stessa barca, remano. E adesso, che il vento è tornato a gonfiare le vele, ci credono. E fanno bene.