26 Aprile 2025, 19:11
A inizio stagione, tra lo scetticismo generale e i pronostici dei veggenti da bar, nessuno avrebbe scommesso una lira bucata sul Montelepre. Nessuno, tranne chi ogni giorno viveva il sudore del campo, la polvere dei rimbalzi scomposti, l’odore acre delle scarpe sfibrate. Lì, tra uomini e ragazzi forgiati dal sole e dal vento, nasceva un’idea diversa di calcio: moderna, ardita, quasi presuntuosa nella sua ambizione di sfidare le vetuste geometrie di Promozione.
Partita dopo partita, il Montelepre si è fatto largo, senza alzare la voce, ma pestando forte il terreno come un cavallo al galoppo. Non hanno vinto il campionato, poco importa. La storia, quella vera, non sempre la scrive chi solleva la coppa, ma chi semina un seme nuovo, chi guarda oltre l’orizzonte e assume la postura dell’avanguardia. «Il nostro destino, si capisce ora, era un altro» dice il tecnico Guida con il sorriso di chi sa che la vita è anche questa, che l’arte per essere apprezzata deve essere sofferta. Un altro destino si diceva, i play-off: la terra di mezzo dove il cuore vale più dei muscoli e l’ingegno più della forza bruta.
Un cammino senza compromessi quello giallorosso, nessun acquisto invernale a stravolgere l’alchimia, nessuna toppa cucita in fretta per nascondere sfilacciature: «Crediamo nell’unione di questo gruppo, in quello che siamo riusciti a costruire con sapienza e ingegno, e soprattutto grazie al deus ex machina Piero Gatto. La dedizione e la mentalità che questi ragazzi hanno mantenuto eccelsa dal primo allenamento fino ad oggi, nel ritiro che anticipa la sfida decisiva, sono le stesse con cui ci stiamo giocando il sogno Eccellenza». Il budget allora, anziché comprarsi illusioni, è stato speso per premiare la dedizione di un gruppo che ha stretto i denti e il patto di sangue fino all’ultimo respiro.
Sotto la regia sapiente del DS Gatto, il Montelepre si è fatto famiglia, mosaico d’uomini e ragazzi, incastonando con cura la vivacità argentina e il tocco brasiliano in una cornice di orgoglio paesano. È stato come vedere il tango disegnare fantasie astratte ma vivide tra i muretti a secco di una Sicilia aspra e fiera.
Il mister, uno che capisce di calcio come un sommelier capisce di vino, non ha imposto gabbie: «ho cucito il mio abito tattico addosso ai miei ragazzi», un 4-3-3 camaleontico, dinamico, irriverente. Difesa alta, pressing feroce, interpretazione libera: un’eresia per i profeti del modulo fisso, delle geometrie statiche da castrum romano.
Emblematico è il caso di Vizzocero, esterno d’attacco che il vento della partita spinge a infilarsi tra le linee, a inventare da trequartista puro. Non una forzatura, ma un patto tacito tra il talento e l’idea: il Montelepre, insomma, gioca per esaltare i suoi uomini, non per incatenarli.
Ora, davanti c’è il San Fratello, gente d’orgoglio e di battaglia, navigatori esperti della categoria a cui basta una leggera brezza per interpretare l’inerzia della sfida. Ma il Montelepre, qualunque sia il verdetto, ha già vinto la sua partita più grande: essere sé stesso, a testa alta, consapevoli di aver contribuito, nel loro piccolo, a modernizzare il movimento calcistico siciliano.
E credetemi, in un calcio che troppo spesso sa di muffa e di compromessi, non è poca cosa.
Pubblicato il
26 Aprile 2025, 19:11