Bosco “Vi racconto il mio Catania Beach Soccer”
Beach Soccer01 Giugno 2025 - 08:50
Le prime due vittorie in campionato sono arrivare. E domani ad Alghero si assegna il primo trofeo della stagione, nella stracittadina con We Beach Catania. Peppe Bosco si racconta nei dettagli, spiega cosa sia Catania, il suo Catania, la grande famiglia capace di collezionare 16 trofei nella sua storia e di essere in prima fila anche nei grande eventi internazionali come il Mondiale per Club, finale a Mosca persa con Braga di misura, o l’Euro Winners Cup. Bosco racconta 21 anni, la voglia di lavorare per diffondere il verbo beach soccer e tradurlo in tutte le spiagge siciliane. “Crediamo molto nel settore giovanile e nei giovani. Un grande evento potrebbe arrivare a settembre. Sarebbe un sogno speciale. Ma pensiamo a fare bene, mi piace il coinvolgimento totale delle spiagge, vedo la Città di Catania coinvolta. Sono davvero felice e motivato. Ci sono tanti sogni da realizzare ancora”.
Ventun’anni fa cominciava il grande viaggio del Catania. Oggi la storia è totalmente cambiata: si riparte con uno scudetto, con una Supercoppa, una finale disputata, sei finali giocate in due anni. Questo nuovo percorso del Catania Beach Soccer è un percorso su un solco ben definito?
“Debbo dire che i risultati raggiunti sono frutto del lavoro certosino che abbiamo fatto in questi anni. Riproporsi e riproporre il progetto anche per le fasi successive è sempre motivo di grande responsabilità, perché poi comunque la gente, i tifosi, la città di Catania si aspetta sempre da te l’impresa. E noi ci mettiamo tutti i mezzi per fare le imprese, però siamo sempre col beneficio del risultato. Quindi siamo sempre attaccati là, al risultato. Però ti debbo dire che rispetto agli altri anni, quest’anno c’è un’attenzione diversa, siamo ancora più maturi. Quindi, siccome abbiamo esperienze passate e vissute, questo ci permette di fare meno errori”.
Oggi il beach soccer vive 12 mesi l’anno. Non solo l’estate. Può oggi definire la sua società una grande famiglia o è una grande azienda?
“Dare un peso solo all’aspetto economico sarebbe ingiusto. Non c’è una grande azienda se non c’è una grande famiglia alle spalle. Ci sono degli uomini che sono straordinari per lavoro, per qualità di lavoro, per sacrifici. Sono persone che non guardano l’aspetto economico come cosa primaria: quella viene per ultima. E questo è quello che mi dà la forza di fidarmi di questi uomini”.
Bosco, Le indico tre anni. Il 2008, 2018 e 2024: sono le tre annate che hanno portato lo scudetto. Mi dice quale è entrata davvero più nel cuore? Oppure ogni scudetto ha un suo posto?
“Ogni scudetto ha una storia diversa, un vissuto diverso. Il primo scudetto è lo scudetto dei catanesi: di Bua, di Platania, di Condorelli, dei giocatori che facevano i brasiliani, i primi Juninho, Mosca, Stankovic. Era uno scudetto primordiale. Il secondo scudetto, nel 2018, è lo scudetto dei campioni. Era la squadra costruita per vincere: campioni che hanno portato a termine l’anno con Coppa Italia e scudetto, vincendo contro la Sambenedettese. Eravamo fortissimi. Mentre l’anno scorso è stato lo scudetto dei giocatori operai, i senatori, insieme al comparto dei lavoratori. E secondo me era meritato. Eravamo più forti”.
Cosa ha Fred da convincerla per tutto questo tempo a tenerlo come capitano e a farlo diventare simbolo del Catania?
“Per la sua catanesità, è un brasiliano atipico, con il sangue rossoazzurro nelle vene, che fa da capofila a tutti i ragazzi, vecchi e nuovi. Lui è diventato, in questi anni, un leader riconosciuto nel mondo: Fredo Cabral Vazza da Costa Bosco. Quando uno vuole parlare con me, parla con lui. È per me un punto di riferimento a Rio de Janeiro e in tutto il Brasile. Perché noi in Brasile siamo abbastanza conosciuti, siamo importanti, abbiamo un ruolo di primaria importanza. E questo mi ha convinto, perché poi fa solo i nostri interessi. Quando è in campo, è tra i più forti d’Europa”.
Il suo capitano è brasiliano. Catania è su questo aspetto internazionale a tutti i livelli. E’ auspicabile la possibilità di poter andare a giocare in Brasile in tourneé?
“Il Brasile resta la terra del calcio. Tu considera che ogni anno il Brasile esporta quasi 5.000 atleti in tutto il mondo per giocare a calcio a 11, a 5, a beach soccer. Però è uno sport che non permette anche agli organizzatori di poter pagare una tournée per una squadra europea. Non ci sono i giusti fondi, non c’è un pubblico che oggi paga. E quindi questi fondi non si possono realizzare. I tempi non sono ancora maturi”
Ci sono diverti giovani rossazzurri nell’orbita azzurra come Barbagallo e Campagna. Che cosa scatta dentro questi ragazzi, visto un po’ la storia che ha caratterizzato il rapporto tra l’Italia e il Catania Bs?
“Noi eravamo a un punto in cui nella nazionale italiana c’erano quasi 7-8 catanesi. Abbiamo ripreso questa storia. Invece di aspettare i giocatori delle prime squadre, abbiamo pensato di portare 200 ragazzi ad allenarsi durante tutta la settimana. E tra le produzioni di varie categorie, è nato un nostro vivaio. Il progetto è vario e prevede, quindi Under 13, Under 15, Under 17, Under 20. È la scuola calcio da dove bisogna partire. Tutti questi ragazzi li vediamo ogni giorno e fanno passi da gigante”.